Amici, è la parola giusta!
Vi vogliamo raccontare un’esperienza. Bella, di quelle intense, che ti fanno capire che la grandezza delle cose sta nel come le si guarda. E le si vive. Anche viverle dall’esterno, come semplici spettatori, è un bel piacere. Questo è quello che è successo a noi ieri mattina, quando abbiamo partecipato ad un interessante convegno romano dal titolo “Sapori diversi”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la collaborazione della Fondazione Telecom e la società Laurenzi consulting.
Vi starete chiedendo cosa c’entra un convegno della Comunità di Sant’Egidio con il nostro disquisire di panini e di gastronomia. La risposta sta nel progetto “Cucina inclusiva” della Comunità di Sant’Egidio, il motivo per il quale noi (e molti altri) hanno avuto il piacere di ritrovarsi alla sede della Camera di Commercio di Roma al Tempio di Adriano. E di godere – in questo caso la parola non è fuori luogo, ve lo assicuro – di parole (mai superflue) e immagini (che colpiscono direttamente al cuore) che ci hanno riconciliato con lo spirito!
Il progetto affronta la questione (il problema?) del lavoro. Una questione sempre più spinosa visti i tempi che corriamo, ancora più “grave” quando riguarda le persone disabili. Come fare in questo caso? Come permettere a questi ultimi di avere una professione (oltre che una professionalità), di entrare in forma stabile nel mondo del lavoro? Cucina inclusiva nasce appunto dall’intenzione di dare una risposta, e una soluzione, a tale quesito. Prendendo spunto dall’esperimento (riuscito) della “trattoria de Gli Amici”, luogo della ristorazione romana portato avanti dal lavoro (egregio) di 13 persone disabili, con l’aiuto di professionisti e amici che aiutano volontariamente. Perché una bella idea, portata avanti con le modalità corrette e le persone giuste, anche se “fuori dagli schemi”, non può che essere un successo. La trattoria de Gli Amici ne è l’esempio concreto, come hanno tenuto a sottolineare tutti i presenti. Una trattoria in cui si mangia bene, in cui si sta bene. Al punto che chi la prova è portato a dire “è buona (ma anche) è bella”. Detto così, un posto da veri foodies…
La gastronomia, la ristorazione, viene in “aiuto” a queste persone. Mette loro a disposizione una prospettiva, una possibilità che in molti altri casi è difficile avere. La Comunità di Sant’Egidio ha puntato su questo, ha pensato che insegnare (bene, con metodo e con le persone adatte) come servire ad un tavolo, come aiutare uno chef in cucina, come accogliere gli ospiti, sia qualcosa che le persone disabili possono fare come (se non meglio) degli altri. L’importante è metterli nelle condizioni di imparare, questo è il primo passo affinché il loro sogno si realizzi. Poi ci vuole un lavoro, un ristoratore che li assuma e che superi le eventuali “diffidenze” nell’accogliere nelle sue sale un/a ragazzo/a disabile. E questo è un altro aspetto non da poco. Perché i disabili possono lavorare in modo molto professionale, con motivazione e produttività, ricevendo allo stesso tempo dignità dal loro lavoro.
Il progetto di Sant’Egidio sta portando i primi frutti. Dei 24 ragazzi/e che hanno frequentato il corso (della durata di oltre un anno) e che hanno conseguito il diploma (consegnato ieri, a corollario del convegno), già 12 hanno trovato un primo lavoro. Questo grazie all’adesione al progetto di tanti ristoratori romani, da Cristina Bowerman di Glass Hostaria ad Angelo Troiani del Convivio Troiani, passando per la storica salumeria Roscioli. Nomi e volti noti ai più per i loro piatti e le loro creazioni in cucina, ma che in questo caso hanno sposato un’idea innovativa e che sperano di essere un esempio per altri come loro.
Visto che vi volevo raccontare un’esperienza, concludo dicendovi che vedere e ascoltare un disabile che parla del proprio lavoro (da MacDonald) come di un successo e di una realizzazione della propria vita – come direbbe una nota pubblicità – non ha prezzo. Vedere la soddisfazione e la commozione di un disabile che riceve un (semplice) attestato di frequenza, vale più di tante parole. Chi vive queste persone da vicino giorno dopo giorno, nel loro percorso di inserimento sociale, testimonia del loro modo di godere di cose, fatti, avvenimenti, conquiste, che in molti altri casi passano in secondo piano o vengono date per scontate. Non è così. Questo è quello (il bello) che ho visto oggi e che mi ha fatto capire come, quando una cosa è possibile, è giusto cercare il modo di permettere che si realizzi. Questo fa la Comunità di Sant’Egidio, questo fa il progetto Cucina inclusiva, questo fanno i disabili che vi hanno partecipato. E questo è quello che a noi è piaciuto così tanto!