Il cuccalar: il pane povero del Trentino

Il cuccalar: il pane povero del Trentino

Un pane povero, il Cuccalar, che pochi continuano a realizzare nel piccolo paese Palù del Fersina, uno dei quattro comuni alpini della Valle dei Mòcheni , abitata appena da duemila persone.

Ci troviamo in Trentino. Qui in epoca medievale si stabilì una comunità bavarese, nota per laboriosità. Non a caso il termine “mocheno” deriva da “machen” che in tedesco significa “fare”, e più nello specifico dalla frase “mache ich” (io faccio) che in dialetto diventa “mòchen i”.

Nella valle, detta anche del Fèrsina dal torrente che la percorre, i Mochéni hanno lasciato vizi e virtù. Tra questi, oltre a quell’idioma di derivazione dall’alto tedesco antico che ne fa una delle minoranze linguistiche ancora asserragliate nella provincia , hanno tramandato anche il Cuccalar , una sorta di pane azzimo, ottenuto da farina integrale di frumento e segale, amalgamato con il latticello. Ingrediente molto in voga nelle collettività del passato, oggi pressoché in disuso, il latticello si ottiene dalla lavorazione della panna sbattuta da cui deriva il burro.

Un tempo era il dono nella sacca dei bambini che portavano al pascolo le mucche. La loro merenda. Oggi viene proposto a colazione con frutta, marmellate di piccoli frutti molto diffusi in zona e crema di nocciola spalmabile. A merenda o come antipasto diventa salato, accompagnato da affettati e formaggio.

“A me hanno insegnato la ricetta le nonne. Anna realizzava il cuccalar più schiacciato e croccante, il mio preferito. Maria leggermente più alto e morbido – racconta Andrea Petri Anderle, uno dei pochi a continuare la tradizione, proposta anche agli ospiti del suo piccolo agriturismo – Si tratta di un pane molto povero, da consumare preferibilmente caldo. I giovani non lo riconoscono, solo gli anziani continuano a cuocerlo in casa e nessun panificio lo tiene”.

Di appannaggio delle donne, dedite alle faccende domestiche, il Cuccalar veniva impastato e immediatamente messo a cuocere sulla stufa in ghisa nutrita a legna. E che festa sbocconcellarlo insieme al formaggio di capra (anch’esso da una razza autoctona ridotta a un centinaio di capi o ai salumi affumicati. Un piccolo ingrediente, quasi marginale, ma che racchiude in sé una storia affascinante tutta da scoprire.

 

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